Il teorema dello 'Scrittore
chi scrive – scemo chi legge
'
compie 50 anni
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giovedì 07 novembre 2008

Articolo di Akis Kozzakis 



Preambolo

Il cinguettio dei cardellini, il nitrire dei puledri, il ronzio delle api non fanno per me. Vorrei buttar giù un articolo su Sergio Covelli ed il suo famoso teorema, ma ho avuto la brillante idea di trascorrere una settimana in una casa di campagna e qui, in questo mondo appena colto e silente, sembrerà inverosimile, ma io, homo metropolitans al 100%, a mio agio proprio non mi ci trovo.
Stasera torno in città, basta, non ne posso più del verde delle colline e dell'azzurro del firmamento. E' il grigio, solo il grigio, il colore dell'angustia, della metropoli fumosa e, guarda caso, della corteccia celebrale.
Metto su il CD più marcio che riesco a trovare sugli scaffali di questa cucina, suoni hard-core della periferia ateniese nel cuore dell'agro di Alexandroupolis, mi intossico con una Karelia fantasticando l'odore fine delle polveri sottili, ascolto le bacchette del batterista contare il tempo - "uan – tu – tri – for" - ed entrambi attacchiamo all'unisono
.


Origine della congettura di Covelli

Tra il 1990 e fino a tutto il 2008, prima dell'invenzione del teorema dello 'Scrittore chi scrive – scemo chi legge' chi avesse voluto scrivere al fine di far leggere i propri scritti a qualcuno era uno sfigato. Eh sì, non c'era una, ma neanche una parola nei dizionari che potesse rendere così bene l'idea: uno sfigato. Perché a quel tempo funzionava così, o avevi una bella botta di lato B o di fattore C o di vitamina D, o prima di diventare un 'autore' era meglio diventare 'famoso', non importava come, ma bisognava farlo. Dopo la strada era spianata!
Il sottoscritto scrivente, Akis Kozzakis nato a Vòlos e trapiantato ad Atene, come tanti altri sconosciuti, all'epoca anche lui aveva pubblicato un paio di romanzi (che non leggeva nessuno) e rientrava, suo malgrado insieme a Sergio Covelli, nella grande famiglia degli sfigati dal momento che aveva commesso la grande idiozia di non diventare popolare prima di mettersi a stilare parole, sebbene ci avesse già provato con la musica...
È in questo stesso contesto che in quegli anni anche Covelli, seppur in un'altra nazione al di là del Mar Jonio, lottava contro tutto e tutti pur di far leggere i propri romanzi e così, la leggenda narra che un bel giorno, dopo un paio di litri di birra solitari e disperati, sgorgò dal suo stomaco spontanea una domanda: "ROOOAAAARRRR, sOnO seMPrE, iCh, a tEmPo, IcH, o NOn Ho pIù sCAmPo?!?"
In pratica Covelli si chiedeva se sarebbe mai potuto diventare celebre anche dopo aver scritto dei libri o se le leggi del marketing gli imponessero che doveva per forza averlo dovuto fare in precedenza. E se anche fosse stato ancora a tempo come avrebbe potuto farlo? Poteva, all'età che aveva nel 2008, trentasei anni suonati, mettersi a fare il calciatore? Il DJ? L'attore? Il manager cocainomane? O forse era meglio cercare la comoda strada del 'famoso cometa'?
Se proprio il fine giustificava i mezzi allora avrebbe dovuto compiere una strage in un liceo o dirottare un Boeing 747 o tirare una busta piena di feci in faccia all'allora presidente del consiglio. Sì vero, sarebbe diventato noto a tutti all'improvviso e, una volta in carcere, avrebbe anche avuto tutto il tempo per realizzare la sua terza opera, ma chi lo avrebbe rassicurato che poi, in galera, visto che queste pullulano di scrittori, gli altri sfigati invidiosi rimasti sfigati non gliel'avrebbero fatta pagare cara?
Vista la situazione il nostro pensatore non aveva scampo. Se avesse voluto far leggere agli altri i propri libri non avrebbe dovuto rincorrere la fama a tutti i costi, bensì inventare un nuovo 'teorema'. D'altronde, se indossi solo un costume da bagno mentre tutti gli altri intorno hanno mute corazzate da hydrospeed è meglio nuotare controcorrente piuttosto che lasciarsi andare alle rapide come fanno gli altri...
E così, pensa che ti ripensa, anche grazie e soprattutto alle esperienze passate, Sergio Covelli iniziò ad escogitare la sua congettura decidendo di mettere in pratica una teoria tutta sua partendo dal più semplice dei concetti: cosa fa lo scrittore? Parla? No, questa è roba per ex politici. Va in TV a presentare programmi? No, no, questo lo fanno gli ex giornalisti. Recita? E no, questa è roba per ex fotomodelle. Canta? No, anche in questo caso no. Balla? Noooooooooo.
Allora cosa diavolo fa uno scrittore? Ah sì giusto, lo dice la parola stessa: scrive. Com'è che non ci aveva pensato prima nessuno? Uno scrittore è un artista che potrebbe anche essere muto! Era pazzesco, la società degli albori di internet era talmente condizionata dalla comunicazione verbale e visiva proveniente dai migliaia di media del mondo moderno che a volte sfuggivano le cose più basilari!
Partendo da questo semplice concetto Covelli intraprese lo sviluppo della sua congettura battezzata dello 'Scrittore chi scrive – scemo chi legge'. Ma c'è una bella differenza tra congettura e teorema e questo spiega come mai, a parte le congetture di Goldbach, di Riemann, di Collatz e di Poincaré, di altre di veramente famose non ne esistano. Le uniche teorie irrisolte famose sono solo quelle provate scientificamente! Quelle sì che permettono il grande salto perché non solo si trasformano in 'teoremi', ma trasformano anche il loro ideatore da visionario in filosofo o da idealista in matematico.
Dai, dite la verità, chi di voi conosce gli artefici delle congetture di cui sopra? E chi invece conosce quelli dei teoremi di Pitagora, Fermat, Covelli o Euclide? C'è una bella differenza! E sapete perché? Perché le loro congetture sono state dimostrate.


Dimostrazioni del teorema

Nel 2008 Sergio Covelli a riprova della dimostrabilità del suo teorema realizzò una serie di prove atte a palesare la scientificità della sua congettura.
Iniziò con delle presentazioni del suo romanzo 'Senza padre e madre, né rimorsi' che più che presentazioni, nel senso classico del significato, erano performance musical-letterarie.
Poiché egli partiva dalla congettura che lo scrittore doveva scrivere e lo scemo doveva leggere non ci dovevano essere elementi estranei alla situazione: cioè ci dovevano essere solo i lettori e l'autore, via editori, presentatori, critici e via inutili parole e dibattiti. Ecco come nacque 'Senza editore e presentatore, né cantanti', sottotitolo 'Un incontro senza troppe parole… Un’esibizione da ascoltare in Times New Roman'.
La scenografia era composta da una parete nera come una lavagna, davanti uno scrittore a lavoro, seduto alla sua scrivania, sopra di essa una lampada, un dizionario, un notebook, un posacenere, una birra ed un bicchiere. Il notebook era collegato ad un videoproiettore nascosto e quello che l'autore scriveva veniva letto dal pubblico, o meglio dagli scemi, perché proiettato sulla parete nera.


Video-trailer della presentazione di 'Senza padre e madre, né rimorsi'

L’unica luce era quella della proiezione e della lampada sulla scrivania. I lettori erano al buio come nella propria camera da letto mentre leggevano un libro prima di addormentarsi.
Lo scrittore non diceva una parola, i rumori di sottofondo erano affidati alla musica che lui comandava, come se fosse stato nel proprio studio.
Per iniziare salutava e ringraziava, definiva il suo ruolo di autore e quindi non di intrattenitore o attore. Poi partiva con un test di geometria analitica e, in seguito, componeva due poesie. Davanti ai lettori la parete nera si riempiva di parole che scorrevano mentre la musica li inondava di ritmi e suoni. L'autore scriveva, si fermava, beveva la birra, controllava i sinonimi come se fosse alla scrivania di casa, se necessario ruttava, fumava, andava in bagno, si grattava. Era nel suo studio, da solo, faceva quello che gli pareva. Alla fine ripeteva un nuovo test sul significato della poesia analizzando le due precedentemente scritte.
Il pubblico, ovviamente, non ne azzeccava una. Lo scrittore sanciva la fine della presentazione. Non chiedeva se c'erano domande, a lui non importava. Salvava il file, così come avrebbe fatto quando salvava ciò che aveva scritto. Dopodiché spegneva la musica, il notebook e la lampada sul tavolo. Se ne andava così, al buio, così come avrebbe fatto un lettore quando, posto il segnalibro alla pagina alla quale è arrivato, spegne la abatjour e si addormenta.
Risultato: applausi a scena aperta, decine di libri venduti e prima dimostrazione effettuata.


Foto di Sergio Covelli durante alcune delle sue presentazioni 'mute'

La teoria dello 'Scrittore chi scrive - scemo chi legge', ovviamente non fu dimostrata solo con le presentazioni. Questo non sarebbe bastato per elevare la congettura al rango di teorema. Troppo poco ancora.
Così Sergio Covelli si cimentò in altre prove inerenti il tema: ad esempio a più riprese andò in giro per il centro di Roma, regalò dei suoi libri e chiese ad un gruppo di lettori di leggere alcune pagine del romanzo, dopodiché cercò di ipnotizzarli, o meglio, cercò di muovere i lettori, a questo punto scemi, tramite lo sguardo ed il solo movimento della mano, senza proferir una sola parola e, incredibile ma vero, gli scemi venivano totalmente rapiti da lui.
Non stavano guardando la TV, non avevano davanti un messaggio pubblicitario, non erano di fronte ad uno stregone che in delirio diceva “Guardami! Guardami! Solo quando lo dirò io!” eppure come in trance si lasciavano condurre dallo scrittore.


Foto di Sergio Covelli mentre ipnotizza i suoi lettori nel centro di Roma

Altre volte il nostro pensatore andò in giro per la città con una macchina da scrivere. Con questa si metteva a scrivere nelle stazioni delle metropolitane, nei mercati, negli autobus che prendeva per spostarsi da un luogo all'altro, nei giardini pubblici, nelle strade delle periferie, in mezzo a greggi di pecore, con il solo e unico scopo di far leggere quello che scriveva a qualche scemo nei paraggi a dimostrazione del suo teorema.
All'inizio la gente intorno lo guardava stupita, si chiedeva se fosse uno scherzo, una candid camera o se fosse matto. Covelli non rispondeva mai alle domande e così poco dopo, la congettura veniva di nuovo dimostrata perché sapete cosa si mettevano a fare i passanti? Si mettevano a leggere quello che lui scriveva.
Ad alcuni di questi lettori estemporanei il nostro pensatore regalò le pagine appena scritte (che adesso valgono una fortuna se fossero messe all'asta), ad altri fortunati mandò un saluto e ad altri ancora un meritato vaffanculo, ma sempre e comunque per iscritto.


Foto di Sergio Covelli che fa leggere i suoi scritti improvvisati ai passanti

Il teorema dello 'Scrittore chi scrive - scemo chi legge' era di nuovo dimostrato a riprova del fatto che non c'era bisogno di pubblicità per trovare dei lettori e questo perché il mondo è pieno di scemi!
Non dimenticherò mai la gioia di Covelli il giorno in cui, ad una conferenza a Parigi, il suo teorema venne accettato come dimostrato dalla comunità scientifica internazionale.
Non disse nulla, come era ovvio, semplicemente scrisse su una lavagna “Evviva! Gioite scrittori! Il mondo pullula di scemi! E quindi è gremito di lettori! Basta applicare il mio teorema ed andare in giro a scovarli!”. Era l'uomo più felice del mondo.


Applicazione economica del teorema

Nel suo “Trattato sullo scemo che è in noi”, edito nel 2009 da Cozzamarucaeditore e giunto ormai alla ventesima edizione, Sergio Covelli narra come in passato avesse provato a pubblicizzare (inutilmente) le sue opere in programmi televisivi o a venderle direttamente ai lettori senza l'intercessione di distributore / libreria che, parliamoci chiaro, senza una massiccia campagna pubblicitaria, all'epoca non servivano a niente.


Foto di Sergio Covelli mentre promuove inutilmente un suo libro in TV

Era stato a vendere di persona i suoi libri ai semafori della capitale italiana ed in una giornata intera, era riuscito a spacciare il misero numero di quattro copie prendendosi mille offese, sprecando un milione di parole con gli automobilisti in sosta e rischiando due o tre mazzate da parte dei lavavetri a lavoro...


Video di Sergio Covelli mentre cerca di vendere inutilmente i suoi libri ai semafori



Foto di Sergio Covelli mentre cerca di vendere inutilmente i suoi libri ai semafori

Sempre nel suo trattato Covelli racconta che per il secondo romanzo era arrivato a fare addirittura peggio: era andato porta a porta come i venditori delle aspirapolveri alla ricerca di clienti ed anche in questo caso era stato un fallimento totale, non si sa quante porte in faccia avrà preso in un giorno a fronte di una sola copia venduta!


Foto di Sergio Covelli mentre cerca di vendere inutilmente i suoi libri porta a porta

Ma adesso io e tutti gli scrittori quelle porte in faccia le benediciamo dal momento che grazie a queste Covelli si convinse ad intraprendere la difficile missione di inventare un teorema. Le porte erano state utilissime! Grazie porte, portoni e cancelli! Che Dio vi benedica! E' grazie a voi che Egli ha capito che per vendere libri bisogna scrivere e stare zitti. Mai parlare! Mai. Lo scrittore cosa fa? Scrive. E allora perché sprecare il fiato con automobilisti stressati o inquilini maleducati? E' servito mai a qualcosa? No.
Dalle sue presentazioni, dall'ipnosi nel centro di Roma e dallo scrivere nei mercati con una Olivetti del 1960 Covelli non ha solo dimostrato che senza proferir parola, senza andare in TV, senza giocare a pallone allo Stadio Olimpico, tutti potranno comunque fare gli scrittori, ma ha anche dimostrato che i libri si possono pure vendere.
Come? Applicando l'ultima dimostrazione del teorema, quella economica... E devo ammettere che applicarla mi procura sempre molto piacere. Domenica scorsa ero a casa mia, ad Atene, ho preso un banchetto, carta e penna e un po' di copie dei miei libri (in versione cartacea) e sono andato al famoso mercatino delle pulci del quartiere di Monastiraki.
Ho affisso al banchetto dei fogli con su scritto “Dal produttore al consumatore!”, “Scrittore -> Distributore -> Libreria -> Lettore!”, “Scrivo e vendo, faccio tutto da solo e i libri costano meno!”. Sono stato lì per otto ore e ho venduto dieci libri, incasso totale 1400 Euro. Se dovessi farlo tutti i giorni sarebbero in un mese 40.000 Euro...
Siamo nel 2058, lo so, di questi tempi con l'idrogeno per auto che è arrivato a costare anche 3 Euro al metro cubo, non sono tanti, ma per i vizi di un vecchio scrittore novantenne come me bastano e avanzano. Ormai non ho più tante pretese, l'ultima che mi resta, prima di morire, è quella di portare un fiore sulla tomba di Sergio Covelli e scrivergli un bigliettino di ringraziamento.

Vi saluto con un ultimo omaggio al grande pensatore scrivendovi una sua poesia composta cinquantacinque anni fa:

Sono uno smemorato

Io sfoglio libri e dimentico
vedo film e dimentico
percepisco il tuo nome quando ci presentiamo
poi per me ne invento uno a modo mio
Andrea è il mio preferito
perché tanto lo so che anche tu non lo memorizzerai
non bevo per dimenticare
non ne ho bisogno
i poeti sono degli smemorati
scrivono perché non ricordano
se non ci fosse chi scrive non ci sarebbe chi legge
ma se scrivi è perché speri che ti leggano?
se non ci fosse chi legge
io queste diciotto righe le avrei composte comunque
io scrivo per ricordare
ecco perché sono qui
non per compiacerti
stronzo/a.


Saluti muti.
Akis Kozzakis
scrittore e devoto al teorema dello 'Scrittore chi scrive – scemo chi legge'
.

Atene, Grecia, 07 novembre 2058.

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